Presentazione del volume La Felicità è un’idea nuova in Europa. Contributo al lessico della rivoluzione francese ( tomo 1, a cura di Cesare Vetter, EUT, Trieste, 2005 ).

N.B. Le chapitre I de cet ouvrage, à propos de Robespierre, est disponible sur le site de l'éditeur en format PDF.

Felicità e rivoluzione francese

Le « bonheur de tous » figura nella Déclaration del 26 agosto 1789. “ Le but de la société est le bonheur commun ” recita l’ articolo primo della Déclaration del giugno 1793. “ Braves sans-culottes, pourquoi avez-vous fait la révolution ? n’est-ce pas pour être plus heureux, foutre ? ” scrive Hébert nel numero 241 del Père Duchesne. E ancora nel numero 263 : “ Il y a trop longtemps que les pauvres bougres de sans- culottes souffrent et tirent la langue. C’ est pour être plus heureux, qu’ils ont fait la révolution ”. “ Le but de la Révolution est le Bonheur du Peuple ” si legge nell’intestazione dell’ Instruction de la Commission temporaire de surveillance républicaine ( Lyon-Ville Affranchie, 26 brumaire an second: 16 novembre 1793 ), il documento che Soboul (2) definisce il manifesto dei sanculotti e che la Arendt prende come cartina di tornasole per testare le diversità ( a suo avviso radicali ) tra rivoluzione francese e rivoluzione americana (3).

Significativa l’affermazione di Saint-Just del 3 marzo 1794 (« Le bonheur est une idée neuve en Europe (4) »). Affermazione nota e sovente citata, ma che non ha trovato finora approfondimenti d’analisi adeguati (5). Confesso che tuttora quando i colleghi o gli studenti a lezione mi chiedono conto del significato preciso della frase di Saint- Just provo imbarazzo. Le mie ricerche sulla felicità hanno preso avvio molti anni fa dai riscontri che man mano emergevano nell’ indagine sulla dittatura ma anche dalla curiosità per questa frase e al momento non sono ancora in grado di interpretarla in modo pienamente soddisfacente ( o almeno pienamente soddisfacente per me stesso ). La spiegazione che chiama in causa il confronto con la rivoluzione americana (6) è la più semplice, ma anche la più banale. Poco convincenti anche le sollecitazioni a cercare la novità nello spostamento dalla dimensione privata e individuale alla dimensione collettiva (7), nello scostamento dalla tradizione cristiana (8) , nella accessibilità a tutti e non solo ai saggi (9). Più produttivo il richiamo alla dialettica tra politica e felicità, all’idea cioè di una felicità suscitata politicamente (10). Più produttiva ancora l’ intuizione di Jean Bart, che ricollega la novità sottolineata con tanta enfasi da Saint- Just alla nozione di bonheur commun (11).

La formula bonheur commun – recepita nella Déclaration del 1793, ampiamente usata nell’anno secondo ( a dire il vero più nelle petizioni e nel materiale proveniente dai club e dalle sezioni che nei discorsi dei grandi protagonisti : ma è questo un punto da approfondire e da verificare ) (12) e che diventerà , come è noto, la parola d’ordine di Babeuf - costituisce un momento di passaggio fondamentale dalla concezione liberale ( e con liberale intendo il liberalismo à la Constant, à la Mill, à la Berlin, il liberalismo che fa perno sulla libertà negativa e non il libéralisme égalitaire o libéralisme humaniste, cui accennerò più avanti ) della felicità alle successive messe a punto in chiave democratica, socialista e comunista (13).

La si ritrova, per esempio, in Mirabeau e Condorcet, con significati diversi da quelli del giacobinismo e della sanculotteria e ancor più radicalmente diversi dall’ accezione che assumerà con Babeuf . Nel giacobinismo robespierrista (14), nei montagnardi e nella sanculotteria dell’ anno secondo bonheur commun corrisponde prevalentemente al significato messo a fuoco da Jean Bart, all’idea cioè di “ un bonheur partagé, frugal (.…) accessible à tous ”, un bonheur raggiungibile tramite “ la généralisation de la petite propriété” (15). Prevalentemente ma non solo, perché nella sanculotteria dell’anno secondo sono già presenti richieste più radicali, che insistono sul partage e prefigurano le successive teorizzazioni comuniste di Babeuf (16) . Anche il bonheur evocato nelle celebri strofe de La Carmagnole ( anonimo, agosto 1792 )è un bonheur più egalitarista che egalitario (17) : « Il faut raccourcir les géants/Et rendre les petits plus grands/Tout à la même hauteur/ Voilà le vrai bonheur…» (18)

Con Babeuf l’aggettivo commun affiancato a bonheur e a félicité torna ad implicare – così come precedentemente in Meslier, in Morelly e in Mably, ma non in Rousseau – l’abolizione della proprietà privata e la “ communauté des biens ”. Con Babeuf inoltre ( e con Buonarroti ) nel campo semantico di bonheur commun entra la nozione di dictature e tale saldatura percorrerà gran parte delle teorizzazioni comuniste del XIX e del XX secolo. La dictature révolutonnaire saprà trasformarsi da semplice categoria del pensiero politico in forza storicamente operante, capace di alimentare speranze ed entusiasmi e di orientare sensibilità individuali e comportamenti collettivi, proprio anche grazie alle sue promesse di felicità. Nel paradosso della dittatura levatrice di libertà gioca un ruolo importante e decisivo l’ idea di felicità (19).

Aveva colto nel segno Mazzini quando individuava nel «diritto alla felicità» – che (la precisazione è mia) è cosa ben distinta dal diritto alla «ricerca della felicità» dei padri fondatori americani (20) – il tratto caratterizzante delle ideologie socialiste e comuniste (21) . Sulla felicità come idea cardine della genealogia dell’ errore che attraversa la modernità insisterà – in chiave ovviamente diversa – il pensiero reazionario ( e ) cattolico dell’ Ottocento e anche Leone XIII nelle sue encicliche (22) La precondizione – a mio avviso indispensabile – per una messa a fuoco concettuale rigorosa ed efficace della nozione di felicità nella rivoluzione francese (ma il discorso è ovviamente più generale e riguarda anche il caso dello stesso Mazzini) è la creazione di un corpus sufficientemente ampio, al quale applicare gli strumenti e la metodologia della linguistica computazionale.

Rivoluzione francese e linguistica computazionale

Il corpus che abbiamo costituito presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Trieste (e che non può essere per il momento messo in rete, per questioni attinenti a diritti editoriali) comprende la seguente bibliografia: le Œuvres politiques di Marat (10 voll., Bruxelles, 1989-1993) e altri scritti di Marat del periodo precedente la rivoluzione; le Œuvres di Robespierre (10 voll., Paris, 2000); le Œuvres complètes di Saint-Just (Paris, 1984); il giornale di Hébert (Le Père Duchesne, 10 voll., Paris, 1969); Du Bonheur di Lequinio ( 20 brumaire an second), il testo forse più noto sulla felicità prodotto nel periodo rivoluzionario e che non figura tra il materiale di Lequinio messo in rete da Gallica. Noi lo abbiamo acquisito tramite trascrizione manuale dall’originale cartaceo della Bibliothèque Nationale di Parigi e successiva digitalizzazione.

Stiamo procedendo alla scannerizzazione degli scritti giornalistici di Babeuf (2 voll., Paris, 1966), del secondo tomo delle Oeuvres complètes di Jean Meslier (Paris 1974; gli altri due tomi sono interrogabili presso il sito dell’ATILF ) e del materiale pubblicato da W. Markov e A. Soboul in Die Sansculotten von Paris. Dokumente zur Geschichte der Volksbewegung. 1793-1794 ( Berlin, 1957, L’ Instruction , citata precedentemente, figura come documento numero 52 ). In prospettiva conto di acquisire (finanziamenti e forze permettendo) le Œuvres di Desmoulins (10 voll., Paris, 1980), le Œuvres de Condorcet (12 voll., Paris, 1847-1849; in fase di ristampa anastatica), la raccolta di fonti Aux origines de la République 1789-1792 (6 voll., Paris, 1991), alcuni segmenti temporali del Moniteur e delle Archives parlementaires (gli stessi scelti da M. Ozouf, per il suo studio su guerra e terrore nel discorso rivoluzionario (23) .

Sulla bibliografia acquisita (cioè trasformata da documento cartaceo in documento elettronico) abbiamo applicato programmi di interrogazione dei testi, che hanno permesso di produrre elaborazioni lessicologiche (occorrenze, cooccorrenze, frequenze assolute e frequenze relative, espressioni di sequenza, concordanze, flussi temporali, concordanze di cooccorrenze). Per questi aspetti – per i quali siamo stati aiutati dai nostri colleghi linguisti (24) – rinvio all’Introduzione metodologica di Marco Marin, mio allievo e collaboratore, autore di una tesi su Robespierre, già portata alla discussione (25) .

Qui vorrei solo osservare che l’approccio informatico (l’acquisizione di documenti in formato elettronico e l’applicazione di programmi di interrogazione dei testi) costituisce, a mio avviso, la nuova frontiera nello studio della storia delle idee (e forse nell’attività storiografica tout court). Il «tournant linguistique», su cui ha richiamato più volte l’attenzione Jacques Guilhaumou anche a proposito della rivoluzione francese, ha prodotto e sta producendo risultati importanti e apprezzabili (26). Molto però resta da fare e un significativo salto di qualità sarà possibile solo acquisendo corpora vasti, in primo luogo Le Moniteur e le Archives parlementaires. È un vero peccato che – per quanto riguarda la rivoluzione francese – il corpus messo in campo dall’ATILF (FRANTEXT) sia sostanzialmente limitato ai tomi VI, VII, VIII e IX delle Œuvres di Robespierre (27). Per quanto riguarda il Risorgimento italiano, come è noto, l’acquisizione delle Opere complete di Mazzini, avviata dalla Domus mazziniana, procede con lentezza (28).

L’approccio informatico apre al ricercatore possibilità e opportunità fino a non molto tempo fa inimmaginabili. Ancora nel 1990 Georges Labica, autore di una monografia molto bella su Robespierre, lamentava che «l’emploi du mot <révolution> chez Robespierre défie les possibilités (actuelles) de recensement (29) ». Ora non più. Il lavoro, che abbiamo svolto presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Trieste, integra quanto già messo a disposizione dall’ATILF. Con l’acquisizione (fatta da noi, e/o dall’ATILF e da POLITEXT ) dell’undicesimo tomo delle Œuvres (in corso di preparazione, a cura di Florence Gauthier) gli studi su Robespierre potranno fare un sicuro salto di qualità. La creazione di corpora informatici rende obsoleta ogni schedatura sul cartaceo. Lo dico con rammarico, pensando ai miei lavori faticosi e minuziosi (ma inevitabilmente incompleti) sulla dittatura e alle indagini che continuo a portare avanti su Mazzini (più di cento volumi di cartaceo per gli Scritti editi ed inediti) (30).

Disporre di un corpus informatizzato permette al ricercatore sicurezza nelle verifiche e una maggior onestà intellettuale. L’interlocuzione tra paradigma interpretativo e materiale empirico diventa trasparente e facilmente verificabile. Il ricercatore può muoversi con libertà e curiosità, non restare prigioniero delle proprie ipotesi. Può evitare forzature dei testi. Anche distinzioni – come quella proposta da Rawls – tra «concetto» e «concezione» trovano un più sicuro terreno di verifica (31). Ho parlato di curiosità: faccio alcuni esempi. Con la strumentazione informatica è possibile individuare rapidamente quando, per Robespierre, gli «adversaires» diventano «ennemis», quando compare per la prima volta l’espressione «ennemis du peuple», quando Robespierre qualifica i propri avversari-nemici con epiteti ingiuriosi del tipo «insectes» e «monstres», che preannunciano il lessico dei totalitarismi ( anche Brissot, d’ altra parte, non scherza e bisogna tener conto di un contesto in cui la delegittimazione dell’avversario e l’invettiva sono la regola ).

Con la strumentazione informatica è possibile (e questa è anche un’ottima opportunità didattica) integrare l’analisi di un discorso di Robespierre nell’anno secondo, con la verifica della presenza o meno nella produzione precedente di lessie, sintagmi e stilemi, identificati come particolarmente significativi. È possibile appurare, con esattezza, continuità e discontinuità nelle posizioni di Robespierre riguardo alla rivoluzione, al popolo, alla rappresentanza, alle questioni istituzionali (monarchia e repubblica), alla pena di morte, alla libertà di stampa, alla guerra. È possibile (ma noi non l’abbiamo ancora fatto) sapere se, in Robespierre, è presente la nozione di persona, questione che la ricerca non ha ancora risolto e che, tra l’altro, è questione dirimente rispetto alle problematiche inerenti al libéralisme égalitaire o libéralisme humaniste (32). È possibile – e anche questo tema ha strette attinenze con il libéralisme égalitaire - mettere meglio a fuoco l’accezione di « propriété (33) ». È possibile verificare se, come sostiene Bouloiseau (34) , Robespierre distingua effettivamente tra poteri (« pouvoirs ») e funzioni (« fonctions »). È possibile distinguere, con maggior precisione, l’uso politico dall’uso sociale del termine « sans-culotte (35) ». E così via.

Ovviamente l’approccio informatico aiuta, ma non risolve la concettualizzazione. Basti pensare – per restare nell’ambito delle tematiche affrontate nel primo tomo – all’uso del termine «liberté» in Robespierre. Si fa sicuramente un passo avanti, quando si individuano tutte le occorrenze e le cooccorrenze. Ma il materiale resta inerte se non viene organizzato alla luce di categorie interpretative forti ( nel caso specifico «libertà positiva» e «libertà negativa (36) »). Categorie contestabili e soggette a smentita, senza le quali – però – il ricercatore brancolerebbe nel buio di campi semantici a rischio di implosione. Personalmente ritengo che la distinzione tra « libertà positiva » e « libertà negativa » è decisiva e dirimente per rispondere al quesito se si possa legittimamente parlare di un Robespierre liberale, sia nell’ accezione consueta (37), sia nell’intrigante accezione del libéralisme égalitaire o libéralisme humaniste (38).

La concezione negativa della libertà – riscontrabile in Robespierre – non propone un limite preciso ed invalicabile alla sovranità (39). Il potere politico ha – in linea di principio – giurisdizione illimitata sull’individuo. L’unica condizione è che sia effettivamente interprete della volontà generale. Condizione, come è noto, impossibile da verificare e che – nelle concrete dinamiche storiche – ha aperto la strada alle sopraffazioni e alle degenerazioni totalitarie. La fonte è Rousseau, o almeno una delle possibili letture di Rousseau (40). Si cita spesso (41), come testimonianza dell’attenzione di Robespierre per la libertà individuale, il seguente passo del ''Discours sur la Constitution" (10 maggio 1793):

Fuyez la manie ancienne des gouvernemens de vouloir trop gouverner; laissez aux individus, laissez aux familles le droit de faire ce qui ne nuit point à autrui; laissez aux communes le pouvoir de régler elles-mêmes leurs propres affaires, en tout ce qui ne tient point essentiellement à l’administration générale de la république. En un mot, rendez à la liberté individuelle tout ce qui n’appartient pas naturellement à l’autorité publique, et vous aurez laissé d’autant moins de prise à l’ambition et à l’arbitraire (42).

Ma si dimentica che nello stesso intervento la libertà individuale viene pesantemente subordinata al « bien public »:

XII. La Constitution ne veut pas que la loi même puisse garantir la liberté individuelle, sans aucun profit pour le bien public; elle laisse aux communes le droit de régler leurs propres affaires, en ce qui ne tient point à l’administration générale de la République (43).

Anche sul Terrore l’analisi lessicologica – se limitata alle evidenze della linguistica computazionale - mostra limiti e inadeguatezze (44). Ci sono poi vere e proprie trappole che vanno evitate. È il caso delle reiterate affermazioni di Robespierre a favore della «liberté des cultes», che possono trarre in inganno il lettore sprovveduto, che abbia scarsa dimestichezza con la storia della rivoluzione francese. L’offensiva di Robespierre, lanciata a partire dal 21 novembre 1793 (1° frimaio anno II), investe sia la scristianizzazione che il cattolicesimo, tanto che il 9 Termidoro le chiese ancora aperte in tutta la Francia si potevano contare sulle dita di una mano (45).

La consapevolezza dei limiti e dei rischi non mi impedisce di ritenere che l’approccio informatico stia diventando sempre più uno strumento insostituibile del mestiere, dell’intelligenza e dell’onestà intellettuale dello storico (46). Uno strumento da applicare anche – là dove possibile – al materiale archivistico. E’ il caso di Hébert, che potrà essere studiato in modo esaustivo e completo – come suggerisce opportunamente Jacques Guilhaumou nella sua recensione ( 2001 ) al libro di Antoine Agostini (47) - allargando l’indagine ad ambiti diversi da quelli giornalistici: “sections, Commune de Paris, club des Jacobins, et club des Cordeliers ”.

Per continuare con gli esempi attinenti alle tematiche del primo tomo e alle ricerche che abbiamo in corso, la strumentazione informatica può permettere di affrontare la sacralizzazione della politica in Robespierre (e nella rivoluzione francese) in modo molto più puntuale e preciso della schedatura e dei metodi di lavoro tradizionali. Può aiutare a distinguere tra la sacralizzazione della politica e la dimensione più propriamente religiosa di Robespierre, che – a mio avviso – si risolve sostanzialmente nel teismo della Professione di fede del Vicario savoiardo (48). Per fare altri esempi, la strumentazione informatica permetterebbe (se si riuscisse ad acquisire un corpus ampio e significativo, includente il materiale prodotto dalla sanculotteria) di ricostruire l’effettiva diffusione della formula «économie politique populaire», proposta da alcune interpretazioni storiografiche recenti come chiave di lettura del progetto di società robespierriano (49) e di mettere meglio a fuoco le intriganti categorie di libéralisme égalitaire e libéralisme humaniste.

Avendo a disposizione vasti corpora digitalizzati sarebbe più semplice tener distinti nell’ anno secondo – come suggerisce opportunamente Vovelle (50) – sanculotteria, giacobinismo, robespierrismo, Montagna. La strumentazione informatica potrebbe fungere da solido supporto ad una lettura di genere delle teorizzazioni robespierriane. Su quest’ultima opportunità spero di riuscire a coinvolgere competenze presenti nel nostro Dipartimento di Storia (51). Il primo tomo già pubblicato propone alcuni risultati delle ricerche finora condotte. Risultati lessicologici e risultati concettuali. Per la legittimità storiografica e scientifica e le potenzialità euristiche mi affido al giudizio del lettore ed alle valutazioni dei colleghi e degli amici che vorranno intervenire nella discussione. Critiche, suggerimenti, rilievi saranno ben accolti e sicuramente utili per la continuazione del lavoro ( il progetto prevede l’uscita di tre tomi ).

Terrore e felicità

Vorrei anch’io – lasciatemi parafrasare Croce - dare un contributo personale alla critica di me stesso. Un punto di sofferenza e di criticità del primo tomo ( o meglio del capitolo primo ) riguarda la continuità e la discontinuità nel pensiero e nell’ iniziativa politica di Robespierre. Esigenze espositive ( ma non solo ) ci hanno spinto forse verso una eccessiva sottolineatura degli elementi di continuità. La questione è importante e complessa e – soprattutto nel caso del Terrore - incrocia l’ annoso dibattito sulle circostanze. Il Terrore, ogni Terrore, interroga le nostre coscienze e mette alla prova le nostre capacità analitiche. Bisogna accostarsi al tema con passione e con erudizione, ma anche con umiltà e con la consapevolezza che il procedere dello storico è sempre – e tanto più su questioni così delicate – work in progress. Personalmente condivido quella strana e struggente mescolanza di fascinazione e di disagio di cui parla Claude Mazauric a proposito della lettura dei discorsi di Robespierre (52). Affrontare le grandi tragedie della storia stando comodamente seduti al proprio tavolo di lavoro, in un ambiente tranquillo e protetto, impone prudenza, misura e umiltà.



Il paragrafo sul Terrore del primo tomo va considerato un canovaccio provvisorio e verrà ripreso e sviluppato nel terzo tomo. Nella fase della sua stesura non avevamo ancora a disposizione i lavori di David Andress (53) e di Jean-Clément Martin (54). Continuerò – come sto facendo da anni anche nei corsi universitari - a lavorarci sopra. Voglio metabolizzare e comprendere meglio l’ approccio antropologico e la strategia argomentativa di Sophie Wahnich (55). Voglio testare gli spunti euristici (paura e speranza in Spinoza e nel giacobinismo dell’ annno secondo ), proposti da Remo Bodei (56). La discussione e i vostri suggerimenti mi potranno sicuramente aiutare. Così come mi potranno aiutare gli esiti del Convegno di Rouen e il dibattito sul libro di Zeev Sternhell (57). Credo in ogni caso - salvo smentita - che il concetto di “radicalisation cumulative du discours”, usato da Hans Mommsen per studiare il nazionalsocialismo ( 1991, 1997 ) e riproposto da Patrice Guennifey come chiave interpretativa non solo della rivoluzione francese ma di ogni dinamica rivoluzionaria (58), non possa essere liquidato sbrigativamente.

A mio giudizio, resta un punto fermo anche la considerazione che il Terrore – nel discorso dei suoi sostenitori e nella sua produzione legislativa, a prescindere dal comportamento e dalle iniziative differenziate dei rappresentanti in missione, oggetto delle recenti e stimolanti indagini di Michel Biard (59) - punisce le persone non per quello che fanno o hanno fatto, ma per ciò che sono (60). La legge dei sospetti del 17 settembre 1793 e la legge del 22 pratile anno secondo ( 10 giugno 1794 ) non lasciano dubbi al riguardo.

Credo inoltre che gli spunti euristici suggeriti da Paul Berman in Terror and Liberalism (2003) (61) siano estremamente preziosi. Berman individua nel mito di Armageddon l’ asse portante e il filo conduttore di ogni impostazione totalitaria. La struttura del mito è nota. E’ stata studiata da molti , con riferimento a problematiche e ambiti temporali diversi. Tra gli altri, da Norman Cohn ( 1957 ) (62) e da André Glucksmann ( 1992 ) (63). La riassumo per chiarezza. Esiste un popolo ( nella tradizione apocalittica ebraica e paleocristiana il popolo di Dio ) puro e incontaminato. Questo popolo è attaccato da forze interne corrotte e corruttrici, sostenute da potenti forze esterne, a loro volta corrotte e corruttrici. Un ristretto gruppo di virtuosi sotto la guida di un Salvatore riuscirà a condurre il popolo di Dio alla vittoria, sconfiggendo e sterminando i nemici interni ed esterni. Dopo lo scontro finale ( la battaglia di Armageddon nell’ Apocalisse di San Giovanni ) il popolo di Dio continuerà a vivere felice e incontaminato, in una società perfetta e armoniosa, liberata da ogni impurità e corruzione.



Noi forse ( anzi sicuramente ) nel paragrafo sul Terrore abbiamo usato il paradigma, che Berman adopera per includere il fondamentalismo islamico nei totalitarismi del XX secolo, con disinvoltura e non lo abbiamo testato con la dovuta ponderatezza. Lo faremo, e un ulteriore banco di prova potrà essere il capitolo sul peuple, che stiamo preparando per il secondo tomo. L’ affermazione di Robespierre (64) che in Francia esistono due popoli, uno virtuoso e l’altro corrotto e corruttore, in combutta con gli stranieri corrotti e corruttori si presta molto bene alla chiave di lettura suggerita in Terror and Liberalism . Personalmente ritengo – e questo convincimento mi sembra supportato dai risultati delle analisi lessicologiche – che non si arriva al Terrore in Robespierre tramite la felicità. O, se preferite, che Robespierre non arriva al Terrore ( nella misura in cui lo accetta, lo giustifica, lo promuove, lo organizza, lo regolamenta e lo teorizza ) tramite l’idea di felicità. E ciò per la semplice ( ma niente affatto scontata ) ragione che l’idea di felicità nella riflessione di Robespierre – a differenza di quanto avviene con Hébert e Saint-Just e, in un contesto e con implicazioni diverse, con Babeuf – è importante e rilevante, ma non decisiva. Non è cioè ( come, per esempio, vertu ) una nozione cardine nelle dinamiche di strutturazione dei ragionamenti robespierriani, al di là dell’ uso frequente per rendere persuasivo il discorso e supportare con il riferimento a una parola, che ha un’indiscussa e condivisa connotazione positiva, le proprie strategie argomentative (65).

Il materiale che mettiamo a disposizione nel primo tomo ( frequenze assolute e relative, cooccorrenze, tutte le concordanze di bonheur, félicité, heureux..nelle Oeuvres ) può aiutare il lettore a confermare o a smentire queste mie affermazioni. Robespierre arriva al Terrore attraverso le concezioni che ha maturato sul popolo ( unicità e indivisibilità della vera e autentica volontà popolare (66) ) e sulla rappresentanza ( legittimazione etica e non procedurale della rappresentanza (67) ), ma soprattutto attraverso la visione della lotta politica ( o meglio della rivoluzione (68) ) come processo di rigenerazione ( régénération ) e ristrutturazione morale dell’uomo, come guerra tra Vizio e Virtù, come scontro tra forze del bene e forze del male. Quanto e in che misura abbiano pesato le circonstances è questione aperta ( sulla pena di morte, per esempio, la discontinuità è netta ed evidente ). Così come è aperta – ma anche su questo punto l’indagine lessicologica può portare a un salto di qualità negli studi- l’ annosa questione ( cfr. il dibattito sollevato da La Révolution di E. Quinet, 1865 ) (69) se si possa legittimamente parlare per l’anno secondo di système de la terreur (70).

Indicare - come abbiamo fatto noi – già nella Dédicace a Rousseau (fine 1789 ) (71) i prodromi del Terrore è azzardato e volutamente provocatorio, anche se alcune espressioni e l’aggettivo “ inouie ”, messo accanto a “révolution”, sono indizi da non sottovalutare. Nella Dédicace révolution non allude – come nella tradizione che si ispira a Montesquieu – al passaggio da una forma di governo a un’ altra, né – in un senso più generico - a un cambiamento di dinastia ( accezioni che, tra l’altro, Robespierre richiamerà nel suo ultimo discorso dell’8 Termidoro (72) ). La latitudine prospettata – anche se vaga e indistinta - è molto più ampia ed eversiva, in sintonia con il passo profetico dell’ Émile sull’approssimarsi di un secolo delle rivoluzioni (73).



Esiste, a mio avviso, un’ indubbia filiera ideologica, che porta al Terrore. E questa filiera ideologica – da documentare e ricostruire nei suoi elementi caratterizzanti anche con l’aiuto delle analisi lessicologiche – si snoda lungo una narrazione, in cui ritroviamo tutti gli ingredienti del mito di Armageddon. Rispetto alle varie versioni del mito di Armageddon, quella di Robespierre è tra le più sofferte e sconsolate, tragica e dolente. La conclusione della lotta tra Bene e Male continua progressivamente ad allontanarsi e la felicità sembra sempre più sfuggire dalla storia e dalla terra per rintanarsi nelle pieghe di un futuro lontano e imprecisato (74). Resta la consolazione , per i giusti e virtuosi, di una ricompensa al di là della morte, di un bonheur ultraterreno, cui Robespierre crede profondamente e autenticamente, differenziandosi su questo punto dalle correnti atee e materialiste ( ma anche da alcune impostazioni deistiche e teistiche ) dell’ Illuminismo e della rivoluzione francese (75).

La curvatura dolente ( non direi pessimista, perché la prospettiva di una ricompensa ultraterrena per i buoni, i giusti e i virtuosi è pur sempre robustamente consolatoria ) e la constatazione dell’ ineliminabiltà del malheur dalla condizione umana (76) ridimensionano in Robespierre quegli aspetti prometeici e messianici della cultura rivoluzionaria, che Furet ha riassunto con la formula - riproposta anche da noi nel primo tomo (p. 30 ) - “la politica può tutto (77) ”. Robespierre è “ un philosophe ”, come sostiene giustamente G. Labica (78), ma è anche - per riprendere il titolo di un libro che io amo molto (79) - “ politico e mistico ”. E’ il combinato disposto di queste tre dimensioni ( la dimensione filosofica, la dimensione religiosa, la dimensione politica ) che dà la cifra complessiva di Robespierre ed è al suo interno che si gioca la dialettica tra politica e felicità.

Ricostruire la versione robespierriana dell’ Armageddon con gli strumenti e le tecniche dell’ analisi del discorso è fuori dalla portata delle capacità mie e dei miei collaboratori. Altri potrebbero farlo, e tra questi ovviamente Jacques Guihaumou. Non è mio costume – né mio interesse – millantare competenze che non ho. La mia frequentazione con la linguistica e più specificamente con le tecniche e le metodologie della linguistica computazionale è ancora acerba. È una curiosità in crescita, più che un sapere effettivamente acquisito. Consapevole dei miei limiti, mi assumo la piena responsabilità (lasciando ovviamente a lui tutti i meriti) della parte linguistica curata dal mio allievo e collaboratore Marco Marin.

Divagazioni metalinguistiche

Sulla terminologia attinente alle questioni linguistiche ho avuto un serrato confronto con Marco Marin e con alcuni colleghi linguisti. Se si confrontano i dizionari di linguistica e linguistica computazionale, ci si accorge facilmente che le definizioni non collimano e sovente divergono in maniera radicale. L’uso stesso di linguistica computazionale per connotare l’approccio informatico all’analisi dei testi è controverso (80). Nelle pubblicazioni specialistiche sintagma e lessia a volte vengono fatti coincidere, a volte vengono ricondotti ad ambiti nettamente distinti. L’espressione division du travail, per esempio, nel fascicolo VII del Dictionnaire des usages socio-politiques viene connotata come sintagma, ma potrebbe altrettanto legittimamente essere definita lessia complessa (81). Nel recente volume Des notions-concepts en révolution, « liberté de la presse » viene connotata come lessia (82) ma potrebbe altrettanto legittimamente essere definita sintagma. Sintagma ha perso il suo originario ancoraggio all’ambito sintattico-grammaticale e viene correntemente usato anche in ambito lessicale. Se poi si fa riferimento alla dimensione concettuale (al significato e non al significante), le due espressioni, che ho preso ad esempio, possono essere legittimamente definite nozioni. Senza entrare qui in dettagli metalinguistici, segnalo che – in pieno accordo con Marco Marin – abbiamo scelto parola per designare la singola unità grafica (parole piene e parole vuote), parola e lessia per designare l’unità grafica lessicalizzata (lessia semplice), lessia per designare sequenze lessicalizzate di parole (lessia composta e lessia complessa). Abbiamo a volte definito le sequenze di parole espressioni: uso generico, ma legittimo. In alcuni casi abbiamo usato formula.

« Bonheur », nel vocabolario del primo tomo, è parola, lessia (lessia semplice), termine, nozione, concetto, idea, anche se potrebbe essere definito legittimamente lemma, item lessicale e – se accompagnato dall’articolo – sintagma nominale. Nella linguistica computazionale è parola piena, word type (83). « Bonheur commun » – sempre nel vocabolario del volume in questione – è lessia (lessia composta o lessia complessa, a seconda della diversa sottolineatura del grado di integrazione semantica), formula, espressione, nozione, idea, anche se potrebbe essere legittimamente definito sintagma nominale. L’ossimoro «despotisme de la liberté» è lessia (lessia complessa), espressione, formula, anche se potrebbe essere legittimamente definito sintagma nominale. E così via. Abbiamo evitato l’uso del termine lemma, poiché il nostro lavoro non si era ancora confrontato con la lemmatizzazione.

Pur in questa semplificazione, restano aperti alcuni problemi. Come definire, per esempio, « sans-culotte» ? Senza trattino è parola (parola composta dai morfemi « sans » e « culotte »), ma anche lemma e lessia (lessia composta). Con il trattino è lessia composta, ma anche sintagma (84). Nelle liste di frequenza abbiamo deciso di inserirlo tra le parole. Analoga scelta abbiamo fatto anche per « contre-révolution», « ultra-révolutionnaire », « bien-être », … Il materiale presentato da Marco Marin ha un profilo artigianale ed è ancora in larga misura allo stato grezzo. Necessita di affinamenti e messe a punto sia metodologiche che di contenuto. Ho valutato che fosse utile pubblicarlo in quanto documentazione empirica vasta e attendibile e risorsa preziosa per successivi approfondimenti. Attualmente siamo impegnati a completare la pulizia dei testi (controllo della scannerizzazione, eliminazione delle note, scelta tra le diverse versioni di uno stesso documento, …) e stiamo avviando un procedimento di lemmatizzazione dei corpora acquisiti.

I have a dream, ovvero la testoteca dei miei sogni

A breve ( fine 2007 o inizi 2008 ) uscirà un secondo tomo, con elaborazioni lessicologiche più sofisticate, una ripresa ed uno sviluppo del saggio di Gabriella Valera (interlocutrice amabile e preziosa, che ha portato e sta portando spunti innovativi nel nostro percorso di ricerca), ulteriori contributi di altri miei colleghi e approfondimenti tematici di alcuni aspetti del pensiero di Hébert, Marat, Robespierre, Saint-Just. Tra i temi affrontati nei capitoli del tomo secondo – sempre con un approccio che integra indagine lessicologica e concettualizzazione - segnalo: l’idea di dittatura in Marat ( rielaborazione di un mio vecchio lavoro del 1993 (85) ) i percorsi e gli usi socio-politici della lessia bonheur commun dalle formulazioni illuministiche a Babeuf ; libertà positiva e libertà negativa in Robespierre; l’ accezione inclusiva e l’accezione esclusiva di peuple in Robespierre; la nozione di sans-culotte in Robespierre, Marat ed Hébert; uso e significati del termine terreur in Saint- Just. E altro ancora.

Nel terzo tomo conto di tornare sulla questione del Terrore, di analizzare la nozione di révolution in Robespierre e di impostare una comparazione tra i campi semantici di felicità nella rivoluzione francese e nella rivoluzione americana. Ovviamente nel secondo tomo continueremo a mettere a disposizione degli studiosi nuovi indici di frequenza, datazioni lessicografiche, cooccorrenze, concordanze di lessie particolarmente significative riscontrate in Robespierre, Marat, Saint- Just, Hébert . In primo luogo – va da sé –le concordanze di bonheur ,félicité, heureux….. Il corpus, che abbiamo costituito, ci permetterebbe di pensare a indici completi delle concordanze delle opere di Marat, Saint-Just, Robespierre , Hébert: impresa troppo grande per il nostro gruppo di lavoro (se non altro, per i costi editoriali) e che potrà forse concretizzarsi nel futuro in una dimensione sinergica, aperta al coinvolgimento di altre realtà e istituzioni (comprese – ovviamente – le case editrici, titolari dei diritti di stampa sul cartaceo da noi acquisito). La prospettiva è anche quella di edizioni elettroniche.

Ogni cosa a suo tempo e per il momento ritengo opportuno lasciare le bocce ferme in attesa dell’ uscita del secondo tomo. Ciò che mi auguro è che l’impegno profuso insieme a studenti e colleghi in questi anni e che ha trovato un primo riscontro nel volume già pubblicato possa non solo alimentare curiosità e interrogativi sui travagliati percorsi che conducono alla contemporaneità ma evidenziare anche che la strada per rispondere alle curiosità e agli interrogativi in modo laico e scientifico ( con l’opportunità cioè per l’utente e per la comunità scientifica tutta di poter distinguere nettamente la dimensione descrittiva dalla dimensione valutativa e di poter testare la congruità tra paradigma interpretativo e materiale empirico e verificare di conseguenza la fondatezza delle strategie argomentative) passa necessariamente attraverso l’ acquisizione di vasti corpora digitalizzati.

La necessità di costituire vasti corpora digitalizzati ( auspicabilmente aperti a tutti gli studiosi ) è a mio avviso, scusate se insisto e mi ripeto, imprescindibile per l’ avanzamento e l’ulteriore laicizzazione ( o, se si preferisce, deideologizzazione ) degli studi storici. Si pensi al salto di qualità nelle ricerche comparate tra rivoluzione francese e rivoluzione americana ( gli spunti euristici della Arendt sulla rivoluzione americana come rivoluzione della libertà e rivoluzione francese come rivoluzione della compassione (86) ; i percorsi di trasferimento di sacralità dalla dimensione tradizionale religiosa alla dimensione politica nelle due sponde dell’atlantico (87) ; il diritto alla felicità dei rivoluzionari francesi e il diritto alla ricerca della felicità nei padri fondatori americani…… ) se si potesse disporre della digitalizzazione degli scritti di tutti i maggiori protagonisti della rivoluzione francese ( Condorcet in primis ma tanti altri ancora…. ) e della digitalizzazione del Moniteur e delle Archives parlementaires ( i padri fondatori americani sono già in gran parte in rete ).

I have a dream. Il mio sogno è di poter disporre di una testoteca della rivoluzione francese il più possibile completa , consultabile da tutti e interrogabile con adeguati motori di ricerca. E’ un sogno che implica enormi investimenti in organizzazione, coordinamento, lavoro, impegno finanziario. E’ un sogno che richiede scelte coraggiose ( perché non immediatamente spendibili sul piano della visibilità e dei risultati ) nell’ allocazione delle risorse. Le grandi istituzioni e le grandi strutture si sono mosse e si stanno muovendo con lentezza e vischiosità burocratiche, anche se per la rivoluzione francese la situazione è indubbiamente di gran lunga migliore rispetto al Risorgimento italiano ( i due ambiti di ricerca che frequento con maggiore assiduità e che conosco meglio: ma il discorso potrebbe essere tranquillamente esteso, per quanto riguarda l’ Italia, al fascismo ).

Ecco perché dieci anni fa ho deciso di procedere per conto mio e di costituire un corpus" sulla rivoluzione francese presso il Dipartimento di Storia di Trieste. L’ idea poteva sembrare bizzarra e stravagante ( ai limiti della megalomania ), ma confidavo nel fatto che un piccolo gruppo motivato e coeso fosse in grado – anche senza grandi finanziamenti - di portare in porto in tempi ragionevoli risultati concreti e apprezzabili . Lo scanner, il personal computer, programmi di interrogazione dei testi facilmente acquisibili sul mercato con regolare licenza, volontà, impegno ed entusiasmo rendono praticabile a sedi decentrate e a piccoli gruppi la realizzazione di progetti, che fino a non molto tempo fa erano nella disponibilità esclusiva delle grandi strutture. Così è stato e il corpus'', che abbiamo attualmente in Dipartimento, permette una buona attività di ricerca e una buona attività didattica ( o meglio, una potenzialmente buona attività di ricerca e una potenzialmente buona attività didattica ) sulla rivoluzione francese.

In prospettiva, e al momento opportuno, conto di versare il materiale già acquisito e quello che eventualmente acquisirò in FRANTEXT, POLITEXT o altri siti interessati. Ovviamente resta la speranza che venga costituita al più presto - da enti e strutture cui competerebbe istituzionalmente il compito - la grande testoteca dei miei sogni, allargata magari - ma qui siamo in piena utopia – a quel “ gigantesque corpus d’oeuvres ( philosophiques ? ) inscrites dans le temps révolutionnaire ” di cui parla Françoise Brunel, nella sua bella introduzione a Billaud-Varenne (88).

Il cuore, la mente e Robespierre

Un’ultima considerazione riguarda Robespierre, al centro delle analisi lessicologiche e concettuali del primo tomo e al centro anche presumibilmente delle passioni e degli interessi di ricerca di molti tra di voi. Potrei annoiarvi con dotte disquisizioni ermeneutiche sulla dialettica tra comprensione e precomprensione (89) ma preferisco ripetere quanto ho già scritto nell’ Introduzione. Sono parole dal sen fuggite. Non mi sento di modificarle.



Col cuore anch’io andrei a sedermi – come Jaurès – nel sole del giugno 1793 accanto a Robespierre (90) . Il cuore guarda ai fini, segue l’etica dei fini e delle intenzioni. E i fini di Robespierre – una società egualitaria, una comunità solidale – sono i fini che ho coltivato in tutto il mio percorso di vita. Sono fini e valori che tuttora mi fanno trepidare, indignare, sperare. Per parlare col linguaggio di Rousseau e Robespierre, ho sempre detestato « l’amor proprio (91) », con tutto ciò che esso comporta in termini di competizione e di prevaricazione. Condivido con Rousseau e Robespierre la simpatia (il fellow-feeling di cui parla Smith nella Teoria dei sentimenti morali (92) ) per il «malheur» e « les malheureux » (in tutta la latitudine delle accezioni che ha il termine francese: poveri, infelici, sfortunati). Condivido – sempre con Rousseau e Robespierre – il fastidio per i ricchi («les riches», « les grands »), per quelli che godono di «fortune» e «pouvoir» e che, nel linguaggio disinvolto dell’oggi, vengono definiti « vincenti (93) ». La sintonia con la sensibilità di Robespierre (e di Rousseau) sulle disuguaglianze di ogni tipo è piena. È una sintonia emotiva, una sintonia di pelle, di temperamento, che affonda le sue radici – come dice Bobbio a proposito della distinzione tra destra e sinistra – in dimensioni prescientifiche e prepolitiche, in zone inconsce del nostro io, segnate dalle esperienze fondative dell’infanzia e della prima giovinezza (94). Con il cuore anch’io mi sento parte di quell’« eterna sinistra » di cui parla Nolte (95).



Col cuore anch’io non potrei non dirmi – in compagnia di tanti altri, tra i quali Mathiez e Vovelle (96) – « robespierrista ». Ma con la mente no. La mente segue l’etica della responsabilità e – istruita dalle dure repliche della storia – individua gli esiti nefasti, cui conduce un’impostazione volontaristica, che vuole eliminare le imperfezioni e il conflitto dall’esperienza umana. La mente sa che non tutti i valori positivi, i fini buoni (la libertà, l’eguaglianza, la felicità, …) sono tra loro sempre e comunque compatibili, che non necessariamente si implicano l’un l’altro. La tragicità dell’esistenza umana si riflette anche nel fatto che spesso l’individuo – così come le collettività – è costretto a scegliere tra ideali in sé e per sé egualmente buoni e giusti (97). La mente sa che, per aiutare ed amare veramente gli altri (« pour s’aider » e « pour s’aimer mutuellement » come si esprime Robespierre nel discorso del 20 pratile anno II (98) ), bisogna partire da quello che sono e non da quello che dovrebbero essere. La mente sa che, per costruire rapporti migliori tra le persone e società più giuste, bisogna fare i conti con il «legno storto dell’umanità (99) ».

Le tensioni e le lacerazioni del mio approccio a Robespierre sono forse le tensioni e le lacerazioni di un’intera generazione di fronte al fallimento di ideologie e politiche, che – in nome dell’uomo, della libertà, e dell’uguaglianza – hanno tradito l’uomo, la libertà e l’uguaglianza. Ideologie e politiche che – sull’onda della « grande speranza », sollevata dalla rivoluzione francese (la « buona novella » di cui parla Lefebvre (100) ) – hanno promesso felicità piena e totale – il paradiso in terra – e hanno lasciato macerie. Macerie tra le quali la speranza di poter costruire frammenti di felicità imperfetta, ma condivisa e solidale, stenta a riaccendersi.

Ma questa è un’altra storia.

Cesare Vetter "A proposito di felicità, rivoluzione francese, banche dati e linguistica computazionale", Révolution Française.net, Epistémologie, mis en ligne le 7 février 2007. http://revolution-francaise.net/2007/02/07/107-proposito-felicita-rivoluzione-francese-banche-linguistica-computazionale

NOTES

(1) Cfr. in particolare C. Vetter, Il dispotismo della libertà. Dittatura e rivoluzione dall’Illuminismo al 1848, Milano, 1993; Idem, "'Mazzini e la dittatura risorgimentale", in Il Risorgimento, XLVI, 1994, 1, pp. 1-45; Idem, "Dittatura rivoluzionaria e dittatura risorgimentale nell’Ottocento italiano: Carlo Bianco di Saint-Jorioz e Benedetto Musolino", in Il Risorgimento, XLIX, 1997, 1-2, pp. 5-51; Idem, "Dittatore e dittatura nel Risorgimento: Contributo ad un approfondimento del lessico politico italiano dell’Ottocento", in Studi storici, XXXIX, 3 (luglio-settembre 1998), pp. 767-807; Idem, Dittatura e rivoluzione nel Risorgimento italiano, Trieste, 2003; Idem, "Dittatura risorgimentale e dittatura rivoluzionaria nel pensiero e nell’iniziativa politica di Garibaldi", in Aa. Vv., ' Studi in onore di Giovanni Miccoli, a cura di Liliana Ferrari, Trieste, 2004, pp. 249-263.

(2) A. Soboul, Storia della rivoluzione francese. Princìpi. Idee. Società ( 1983 ), Milano, 2001, pp. 121-122. Cfr. le messe a punto critiche di D.M.G. Sutherland, Rivoluzione e controrivoluzione. La Francia dal 1789 al 1815 ( 1985 ), Bologna, 2000, pp.211 ss., 243 ss. Nella stesura del documento, come è noto, giocano un ruolo importante J.-M. Collot d’ Herbois e J. Fouché. L’ Instruction, tra l’altro, è stata ripubblicata in una raccolta antologica degli scritti di Fouché : Fouché, Ecrits révolutionnaires, Paris,1998, pp.76-90. Sulla Commission temporaire resta tuttora fondamentale R. Cobb, "La Commission temporaire de Commune-affranchi" ( 1957 ), in Terreur et subsistances, 1793-1795, Paris, 1965, pp.55-94.



(3) H. Arendt, Sulla rivoluzione ( 1963, 1965 ), Milano, 1983, pp. 97-98.

(4) L.-A. Saint-Just, Rapport au nom du Comité de salut public sur le mode d’exécution du décret contre les ennemis de la Révolution, présenté à la Convention Nationale dans la séance du 13 ventôse an II, in Œuvres complètes, édition établie par M. Duval, Paris, 1984, pp. 714-715, a p. 715.

(5) Cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo primo, cit., parte prima, capitolo primo, paragrafo1.1.

(6) Cfr., tra gli altri, P. Quennell, La ricerca della felicità (1988), Bologna, 1992, p. 51.

(7) Cfr. M. Delon, Bonheur, in Aa. Vv., Dictionnaire européen des Lumières, sous la direction de M. Delon, Paris, 1997, pp. 165-167.

(8) Cfr. M. Cottret, Bonheur, in Aa. Vv., Dictionnaire de l’ancien régime, sous la direction de L. Bély, Paris, 1996, pp. 166-167.

(9) Cfr. R. Bodei, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità : filosofia e uso politico ( 1991 ), Milano, 2000, p. 403.

(10) Cfr. Ph. Roger, Felicità, in Aa. Vv.,L’ Illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, Roma-Bari, 1997, pp. 40-49; M. Linton, "Robespierre’s political principles"', in Aa. Vv., Robespierre, edited by C. Haydon and W. Doyle, Cambridge, 1999, pp.37-53, a p.47.

(11) J. Bart, "Le but de la société est le bonheur commun", in Aa. Vv., Les Déclarations de l’an I. Colloque Poitiers, 2 et 3 décembre 1993, Paris, 1995, pp. 133-143.

(12) Le occorrenze di bonheur commun e félicité commune nel nostro corpus sono le seguenti: Hébert, 1 e 0; Marat, 10 e 1 ; Robespierre, 1 e 1; Saint-Just, 1 e 0.

(13) Per la bibliografia cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., parte I, capitolo I, note. Tra i lavori che si sono occupati della questione rinvio in particolare a L. Trénard, "Pour une histoire sociale de l’idée de bonheur au XVIIIe siècle", in Annales historiques de la Révolution française, n. 171, janv.-mars 1963, pp. 309-330 e 428-452, alle pp. 448-449; M. Dommanget, J. Dautry, "Sur la formule de 'Bonheur Commun' ", ibidem, n. 187, janv.-mars 1967, pp. 132-133; F. Theuriot, "La conception robespierriste du bonheur", ibidem, n. 191, janv.-mars 1968, pp. 207-226; F. Wartelle, Bonheur commun , in A. Soboul, Dictionnaire historique de la Révolution française, Paris, 1989, p. 135; J. Bart, "Le but de la société est le bonheur commun", cit.; J.-P. Gross, Égalitarisme jacobin et droits de l’homme 1793-1794 (La Grande famille et la Terreur) (1997), Paris, 2000, pp.69-82 ; Aa. Vv., Le bonheur est une idée neuve. Hommage à Jean Bart, Dijon, 2000 ; M. Vovelle, Le parole della rivoluzione, Bologna, 2006, pp. 51-52.

(14) Con l’espressione “ giacobinismo robespierrista ” intendo in questo caso la componente robespierrista nel giacobinismo dell’ anno secondo. L’espressione può essere usata anche per il “ risveglio del giacobinismo”, che prende corpo in Francia a partire dal 1828. Cfr. C. Vetter, Il dispotismo della libertà, cit., passim; Idem, Dittatura e rivoluzione nel Risorgimento, cit., nota 109 alle pp.157-158. Per G. Martin è a partire dal 21 novembre 1793 ( 1 frimaio anno secondo ) che “ la majorité des Jacobins , perinde ac cadaver, s’ abandonne à la toute-puissante volonté de l’ Incorruptible ” ( Les Jacobins, Paris, 1963, p. 70; prima ed. 1945 ). E’ un giudizio che va sfumato . Ricordo, tra l’altro, che il 16 nevoso anno secondo ( 5 gennaio 1794 ) Hébert si scontra con Desmoulins al club dei giacobini e secondo un informatore c’ erano nelle tribune dei giacobini due schieramenti:uno favorevole a Hébert, l’altro contrario ( Cfr. Œuvres de Maximilien Robespierre (1910-1967), 10 voll., Paris, 2000, t. X, pp. 296 ss.; A. Soboul, Jacques-René Hébert et le Père Duchesne en l’an II ( 1969 ), in Portraits de révolutionnaires, Paris, 1986, pp. 159-219, alle pp. 193-194 ).

(15) J. Bart, "Le but de la société est le bonheur commun", cit., pp. 136-137, 141.

(16) Cfr. la petizione inviata alla Convenzione dal distretto di Grandvilliers ( 3 maggio 1793 ): F. Gauthier,G.-R.Ikni, "Introduction", in Aa. Vv., La guerre du blé au XVIIIe siècle. La critique populaire contre le libéralisme économique au XVIIIe siècle, Montreuil, 1988 , pp. 7- 30, nota 87, a p. 30. Richieste molto radicali – anche se non di vero e proprio partage – sono espresse nel documento 31 (Section des sans-culottes, Adresse à la Convention nationale, 2 septembre 1793), pubblicato in W. Markov, A. Soboul, Die Sansculotten von Paris. Dokumente zur Geschichte der Volksbewegung 1793-1794, Berlin, 1957, pp. 137-140.

(17) Per la distinzione tra eguaglianza ed egualitarismo si rinvia in particolare a N. Bobbio, "Eguaglianza ed egualitarismo" (1976), in Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Torino, 1999, pp. 247-257; Idem, Eguaglianza e libertà (1977-1978), Torino, 1995, pp. 30 e ss.

(18) Sulle canzoni nel periodo rivoluzionario cfr. A. Soboul, Dictionnaire historique de la Révolution française, cit., pp. 204-205; L. Mason, Singing the French Revolution. Popular Culture and Politics, 1789-1799, Ithaca and London, 1996; M. Verpeaux, "Le bonheur en chantant, ou la République chantée", in Aa. Vv., Le bonheur est une idée neuve, cit., pp. 409-416.

(19) Cfr. C. Vetter, Il dispotismo della libertà, cit.; Idem, "Dittatura e rivoluzione nel Risorgimento italiano", cit.

(20) Per le interpretazioni della formula « pursuit of Happiness » contenuta nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America (4 luglio 1776) cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., parte I, capitolo I, note.

(21) Cfr. C. Vetter, Dittatura e rivoluzione nel Risorgimento italiano, cit., p. 63 e nota 134 a p. 85.

(22) Cfr in particolare Quod apostolici muneris ( dicembre 1878 ) :lien. Le encicliche di Leone XIII sono tutte in rete.

(23) M. Ozouf, "Guerre et Terreur dans le discours révolutionnaire: 1792-1794", in L’école de la France. Essais sur la Révolution, l’utopie et l’enseignement, Paris, 1984, pp. 109-127. Per una prima messa a punto artigianale – fatta cioè con un lavoro sul cartaceo e non con l’applicazione di programmi di interrogazione dei testi a documenti elettronici – sull’occorrenza dei termini bonheur, liberté, vertu nelle Archives parlementaires dal 21 settembre 1792 al 21 gennaio 1793 cfr. M. Treppo, Il concetto di felicità nella cultura politica dell’Illuminismo francese, tesi di laurea in Storia del Risorgimento, relatore: Prof. Cesare Vetter, correlatori: Prof. Guido Abbattista, Prof. Simonetta Ortaggi, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 1997-1998, Appendice II, alle pp. 256-267.

(24) Un ringraziamento particolare va al collega Giulio Lughi. Ringrazio anche – per la consulenza informatica – il Dottor Tommaso Mazzoli.

(25) M. Marin, Il concetto di felicità nel pensiero politico di Robespierre, 2 voll., tesi di laurea in Storia del Risorgimento, relatore: Prof. Cesare Vetter, correlatrice: Prof. Gabriella Valera, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2004-2005; Idem, "Introduzione metodologica", in La felicità è un’idea nuova, tomo primo, cit., parte seconda, pp.102-121.

(26) J. Guilhaumou, "À propos de l’analyse de discours: les historiens et le «tournant linguistique»", in Langage et société, n. 65, septembre 1993, pp. 5-38.

(27) Per la bibliografia messa a disposizione dall’ATILF cfr lien. Va segnalato che non è possibile applicare programmi di interrogazione dei testi a gran parte del materiale messo in rete da Gallica. I documenti infatti sono in larga misura proposti in formato PDF come file di immagine: cfr.lien. Per quanto riguarda infine la banca dati POLITEXT, è appena iniziata l’ immissione di testi prodotti durante la rivoluzione francese: cfr lien.



(28) Per lo stato dell’acquisizione dei testi mazziniani, avviata dalla Domus Mazziniana di Pisa e dall’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, cfr lien.

(29) G. Labica, Robespierre. Une politique de la philosophie, Paris, 1990, p. 61.

(30) Presso il Dipartimento di Storia abbiamo avviato la scannerizzazione (acquisizione) di alcuni testi fondamentali (Fede e avvenire, Dei doveri dell’uomo, Pensieri sulla democrazia in Europa, …) e di alcune parti dell’Epistolario (la corrispondenza con la madre: 1200 lettere circa ), per mettere meglio a fuoco la dimensione religiosa (sia in senso proprio che come sacralizzazione della politica) del pensiero e dell’iniziativa politica di Mazzini.

(31) J. Rawls, Una teoria della giustizia (1971), Milano, 2002, p. 23.

(32) Va tenuto presente che in francese «personne» può indicare sia un sostantivo femminile (la persona) che un pronome indefinito (nessuno, qualcuno). Individuate le occorrenze, bisogna verificare analiticamente il testo. Come è noto, Hannah Arendt sostiene che «gli uomini della rivoluzione francese non possedevano la nozione di persona» (H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit., p. 116).

(33) Sulla concezione della proprietà in Robespierre sono necessari ulteriori approfondimenti. Solitamente si mette in luce che Robespierre, come Rousseau, considera il diritto di proprietà non un diritto naturale ma «une institution sociale» (cfr. Œuvres, cit., t. IX, pp. 459-471, a p. 461). Il dato è inoppugnabile, ma non esaurisce la latitudine di « propriété » in Robespierre. Propriété in Robespierre non riguarda infatti solo il possesso dei beni mobili e immobili (« la portion de biens qui lui /citoyen/ est garantie par la loi »: Œuvres, cit., t. IX, p. 461). « L’idée générale de propriété » comprende ciò che appartiene a ogni uomo e a ogni cittadino : « ma liberté, ma vie, le droit d’obtenir sûreté ou vengeance pour moi et pour ceux qui me sont chers, le droit de repousser l’oppression, celui d’exercer librement toutes les facultés de mon esprit et de mon cœur » (Œuvres, cit., t. VII, pp 158-174, alle pp. 164-165). L’accezione estensiva di propriété in Robespierre sembra rinviare a Locke, nel cui lessico – come è noto – property designa a volte il possesso dei beni mobili e immobili (« estate »), a volte ingloba « life, liberty, estate » (J. Locke, An Essay concerning the True Original Extent and End o Civil Government, in Two Treatises of Government (1690), London-New-York, 1975, p. 159). L’influenza di Locke su Robespierre è richiamata in particolare dagli studiosi che fanno riferimento alle categorie di « libéralisme humaniste » e « libéralisme égalitaire ». Va rilevato che – nelle Œuvres – Locke è citato in due casi, ma mai da Robespierre (articolo di Lacretelle in merito al Discours sur les peines infamantes, in Œuvres, t. I, p. 64; Journal de Paris, n° 115, p. 2, in Œuvres, cit., t. VIII, p. 312, nota 15). Per una lettura diversa (a mio avviso, riduttiva) delle posizioni robespierriane sulla proprietà cfr. M. Gauchet, La Révolution des droits de l’homme, Paris, 1989, pp. 235-240. Su Lacretelle cfr. É. Barrault, "Lacretelle, un écrivain face à la Révolution française (1766-1855)", in Annales historiques de la Révolution française, n. 333, juillet-septembre 2003, pp. 67-83.

(34) M. Bouloiseau, Robespierre (1956), Paris, 1987, pp. 47 ss.

(35) La sovrapposizione tra uso politico e uso sociale del termine «sans-culotte» è presente nel lessico dei protagonisti della rivoluzione e si riflette nella letteratura storiografica. Esemplare al riguardo il lavoro – che resta fondamentale – di Soboul: A. Soboul, Les sans-culottes parisiens en l’an II. Mouvement populaire et gouvernement révolutionnaire (2 juin 1793-9 thermidor an II), Paris, 1958. Per un’analisi lessicologica cfr. A. Geffroy, "Sans-culotte(s) (novembre 1790-juin 1792)", in Aa. Vv., Dictionnaire des usages socio-politiques (1770-1815), fasc. 1: Désignants socio-politiques, Paris, 1985, pp. 159-186; Idem, "Désignation, dénégation: la légende des sans-culottes (1780-1980)", in Aa. Vv., La légende de la Révolution. Actes du colloque international de Clermont-Ferrand (juin 1986), a cura di Ch. Croisille, J. Ehrard, M.-C. Chemin, Clermont-Ferrand, 1988, pp. 581-592.

(36) Cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., parte I, capitolo I, paragrafo1.9.

(37) Cfr., per esempio, C. Mazauric, "Introduction a Robespierre", Écrits, Paris, 1989, pp. 9-47, alle pp. 24-25; M. Cattaneo, Libertà e virtù nel pensiero politico di Robespierre (1968), Milano, 1990, pp. 89-116.

(38) Per un primo orientamento su libéralisme égalitaire e libéralisme umaniste cfr. F. Gauthier, "De Mably à Robespierre. De la critique de l’économique à la critique du politique. 1775-1793", in Aa. Vv., La guerre du blé au XVIIIe siècle. La critique populaire contre le libéralisme économique au XVIIIe siècle, cit., pp. 111-144; Idem, "Le droit naturel en révolution", in Aa. Vv., Permanences de la Révolution, Montreuil, 1989, pp. 31-51; Idem, Triomphe et mort du droit naturel en Révolution 1789-1795-1802, Paris, 1992, pp. 93-95; Idem, "Robespierre critique de l’économie politique tyrannique et théoricien de l’économie politique populaire", in Aa. Vv., Robespierre. De la Nation artésienne à la République et aux Nations (Actes du colloque Arras, 1-2-3 avril 1993), Lille-Paris, 1994, pp. 235-243; J.-P. Gross, Égalitarisme jacobin et droits de l’homme, cit., pp. 32 e ss., passim; G. Labica, Robespierre. Une politique de la philosophie, cit., pp. 52-58. L’espressione «libéralisme égalitaire», come è noto, è stata usata per la prima volta – con riferimento ad un gruppo di economisti francesi del Settecento – da S. Meyssonnier, La balance et l’horloge: la genèse de la pensée libérale en France au XVIIIe siècle, Montreuil, 1989, pp. 137 e passim.

(39) La concezione della libertà come non-interferenza (libertà negativa) è il tratto distintivo della nozione liberale di libertà. A questa concezione, come è noto, sono stati recentemente mossi rilievi critici da parte dei teorici neo-repubblicani (Quentin Skinner, Philip Pettit, Maurizio Viroli), che hanno insistito sull’opportunità e la necessità di includere nella nozione di libertà l’assenza di dipendenza o dominazione. Per un primo orientamento cfr. Ph. Pettit, Il repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del governo (1997), Milano, 2000; Q. Skinner, La libertà prima del liberalismo, (1998), Torino, 2001; M. Viroli, Repubblicanesimo, Roma- Bari, 1999; Idem, "Repubblicanesimo", in N. Bobbio, M. Matteucci, G. Pasquino, Il dizionario di Politica, Torino, 2004, pp. 840-843.

(40) Cfr. B. Constant, Principes de politique (1806; prima edizione postuma: 1980), Paris, 1997, pp. 34 ss. Mi permetto di rinviare a C. Vetter, Il dispotismo della libertà, cit. ad nomen.

(41) Cfr., per esempio, C. Mazauric, "Introduction", in Robespierre, Écrits, cit., pp. 9-47, alle pp. 24-25.

(42) M. Robespierre, Sur la Constitution (10 mai 1793), in Œuvres, cit., t. IX, pp. 494-510, alle pp. 501-502.

(43) Ibidem, p. 509.

(44) Cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., parte I, capitolo I, paragrafo 1.10.

(45) Per la bibliografia si rinvia a La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., parte I, capitolo I, note.

(46) Per le potenzialità dell’approccio informatico allo studio delle nozioni-concetto nella rivoluzione francese cfr. S. Heiden, "Illustration d’une méthode lexicométrique des cooccurrences sur un corpus historique", in Aa. Vv., Des notions-concepts en révolution, sous la direction de J. Guilhaumou et R. Monnier, Paris, 2003, pp. 105-122. Per un esempio di applicazione della lessicometria cronologica cfr. A. Salem, "La lexicométrie chronologique: l’exemple du Père Duchesse d’Hébert, in Institut national de la langue française, UMR «Lexicométrie et textes politiques»; Équipe «18ème et Révolution», Langages de la révolution (1770-1815), Paris, 1995, pp. 313-327. Per l’approccio linguistico a Robespierre cfr. in particolare A. Geffroy, "L’étendue du vocabulaire chez Hébert et Robespierre", in Cahiers de lexicologie, n. 22, 1973, pp. 96-107; Idem, "Formes de base et formes spécifiques dans le discours robespierriste", in Cahiers de lexicologie, n. 25, 1974, pp. 96-116; Idem, "La désignation socio-politique: nous et peuple chez Robespierre", in Histoire moderne et contemporaine/Informatique, n. 4, 1984, pp. 96-122; Idem, "Lexique et énonciation chez Robespierre (1793-1794"), in INALF.ENS de Saint-Cloud, Traitements informatiques de textes du 18e siècle, Paris, 1984, pp. 151-168; Idem, "Les «nous» de Robespierre ou le territoire impossible", in Mots, n. 10, 1985, pp. 63-90; Idem, "«"Ennemis de la liberté»: syntaxe, sexuisemblance et idéologie chez Robespierre", in Le Français moderne, avril 1989, pp. 39-54; Idem, L"e peuple selon Robespierre", in Aa. Vv., Permanences de la Révolution, Montreuil, 1989, pp. 179-193; Idem, "Le mot nation chez Robespierre", in Aa. Vv., De la Nation artésienne à la République et aux Nations (Actes du colloque Arras, 1-2-3 avril 1993), Lille, 1994, pp. 89-104; Idem, "Le mot patrie chez Robespierre", in Aa. Vv., Langages de la révolution (1770-1815), cit., pp. 491-502; J. Guilhaumou, "La question du langage politique légitime (Rousseau/Robespierre)", in Aa. Vv., Peuple et pouvoir. Essais de lexicologie politique, a cura di J. Guilhaumou e M. Glatigny, Lille, 1981, pp. 127-151. Tra i lavori linguistici sulla rivoluzione francese segnalo in particolare i 8 fascicoli del Dictionnaire des usages socio-politiques (1770-1815), Paris, 1985-2006; Mots, n. 16, mars 1988, numéro spécial: Langages. Langue de la Révolution française, coordonné par J. Guilhaumou; J. Guilhaumou, "L’analyse de discours et la lexicométrie. Le Père Duchesne et le mouvement cordelier (1793-1794)", in Lexicometrica, n. 0, 1997, pp. 1-8; Idem, La langue politique et la Révolution française. De l’événement à la raison linguistique, Paris, 1989; Idem, L’avènement des porte-parole de la République (1789-1792), Lille, 1998; Idem, Sieyès et l’ordre de la langue. L’invention de la politique moderne, Paris, 2002; Idem, "Fragments d’un dictionnaire contextuel des mots de la révolution française", in Cahiers de lexicologie, n. 84, 2004, pp. 119-134; D. Le Gall, Napoléon et le Mémorial de Sainte-Hélène. Analyse d’un discours, Paris, 2003. Per la bibliografia dei lavori di Etienne Brunet, Jacques Guilhaumou e André Salem cfr. Brunet; Guilhaumou; Salem. Una buona bibliografia su "Langue et discours pendant la Révolution française" si trova nelle Chroniques di Mots, n. 16, mars 1988, cit., pp. 175-190. Cfr. inoltre D. Le Gall, Napoléon, cit., pp. 374-379. Per gli aggiornamenti è utile la consultazione della rivista elettronica Lexicometrica e dei seguenti siti: lexic; corpus; texto; lexico; Inist; atala. Per ulteriori informazioni bibliografiche sulla linguistica computazionale e sull’approccio linguistico (analisi del discorso, lessicografia, lessicologia, lessicometria) alla rivoluzione francese rinvio a La felicità è un’idea nuova, tomo primo, cit., note.

(47) A. Agostini, La pensée politique de Jacques-René Hébert (1790-1794 ), Aix-en-Provence, 1999. Per la recensione di J. Guilhaumou cfr. « Annales historiques de la révolution française », n. 323, janvier-mars 2001, pp.115-116.

(48) Cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., parte I, capitolo I, paragrafo 1.7.

(49) L’espressione « économie politique populaire » è usata da Robespierre nel Discours sur la Constitution del 10 maggio 1793. Risulta nell’edizione originale conservata presso la Bibliothèque Nationale de Paris e nella raccolta antologica curata da J. Poperen (3 voll., Paris, 1957). Per un refuso tipografico, non risulta nel tomo IX delle Œuvres, che, al posto di « économie politique populaire », propone « économie populaire » (p. 507). Il refuso – riprodotto tra l’altro in molte raccolte antologiche – è stato segnalato da Florence Gauthier: " F. Gauthier, "De Mably à Robespierre ", cit., pp. 111-144, nota 4 a p. 112; Idem, "Le droit naturel en révolution", cit., nota 7 a p. 51; Idem, Triomphe et mort du droit naturel en Révolution, cit., nota 51 a p. 93; Idem, "Robespierre critique de l’économie politique", cit., nota 1 a p. 235.

(50) M. Vovelle, I giacobini e il giacobinismo, Roma- Bari, 1998, pp.19, 47.

(51) Per un primo orientamento sulle potenzialità euristiche di un approccio di genere alle problematiche della rivoluzione francese cfr. Ch. Planté, "La désignation des femmes écrivains", in Aa. Vv., Langages de la Révolution (1770-1815), cit., pp. 409-416; D. Godineau, "Histoire d’un mot: tricoteuse de la Révolution française à nos jours", ibidem, pp. 601-611; A. Geffroy, « Ennemis de la liberté », cit.; Idem, Leçons sur l’(in)égalité des sexes (Frantext 1789-1820), in Aa. Vv., In/égalité/s. Usages lexicaux et variations discursives (XVIIIe – XXe siècles), sous la direction de P. Fiala, Paris, 1999, pp. 43-69; J. Guilhaumou, M. Lapied, Genre et Révolution. Un mode de subversion du récit historique (8-9 mars 2005, 25 mai 2005), pp. 1-11, disponibile in rete C. Fauré (sous la direction de), La prise de parole publique des femmes, Annales Historiques de la Révolution française, N°344, avril-juin 2006.

(52) C. Mazauric, Bonheurs, lumières obliques sur la figure de Maximilien Robespierre, in Aa. Vv., Le bonheur est une idée neuve, cit., pp.345-357.

(53) D. Andress, The Terror: Civil War in the French Revolution, London, 2005.

(54) J.-C. Martin, Violence et Révolution. Essai sur la naissance d’un mythe national, Paris, 2006.

(55) S. Wahnich, La liberté ou la mort. Essai sur la Terreur et le terrorisme, Paris, 2003.

(56) R. Bodei, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità, cit., pp.376 ss. Cfr. M. Abensour, "Lire Saint-Just", in Saint-Just, Oeuvres complètes, édition établie et présentée par A. Kupiec et M. Abensour, Paris, 2004, pp.7-100, alle pp.68 ss.

(57) Z. Sternhell, Les anti-Lumières. Du XVIIIe siècle à la guerre froide, Paris, 2006.

(58) P. Gueniffey, La politique de la Terreur. Essai sur la violence révolutionnaire. 1789-1794 , Paris, 2000, p. 230. Cfr. la recensione di C. Mazauric, in Annales historiques de la révolution française, n. 323, janvier-mars 2001, pp.118-121.

(59) M. Biard, Missionnaires de la République. Les représentants du peuple en mission (1793-1795 ), Paris, 2002. Cfr. inoltre F. Robin, Les représentants en mission dans l’ Isère : chronique d’ une Terreur « douce » (1793-1795 ), Paris, 2002.

(60) Cfr. B. Baczko, Comment sortir de la Terreur. Thermidor et la Révolution, Paris , 1989, p. 80; Idem, "Les peurs de la Terreur", in Aa. Vv., La peur au XVIIIe siècle. Discours, représentations, pratiques, études réunies et présentées par J. Berchtold et M. Porret, Genève, 1994, pp. 69-86, alle pp. 78-79.

(61) P. Berman, Terrore e liberalismo (2003), Torino, 2004, in particolare pp. 55 ss.

(62) N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse (1957), Torino, 2000.

(63) A. Glucksmann, L’undicesimo comandamento (1992), Milano, 1992.

(64) M. Robespierre, Sur les crimes des rois coalisés contre la France, 7 prairial an II, in Oeuvres, cit., t. X, pp. 473-478, alle pp. 476-477.

(65) Sulla distinzione tra descrittivo e persuasivo resta tuttora fondamentale Ch. L. Stevenson, Ethics and Language, Yale, 1944 ( trad. it. Milano, 1962 ).

(66) Per un primo e sommario orientamento cfr. J.L. Talmon, The Origins of Totalitarian Democracy, London, 1952 ( trad. it. Bologna, 1967, 2000 ); M. Ozouf, "« Jacobin » fortune et infortunes d’un mot", in L’ école de la France, cit., pp. 74-90. Cfr. Papiers inédits trouvés chez Robespierre, Saint-Just, Payan, etc., supprimés ou omis par Courtois; précédés du rapport de ce député à la Convention nationale, 3 voll., Paris, 1828, vol. II, pp. 15-16, pièce n. XLIV (Note essentielle écrite de la main de Robespierre): « Il faut une volonté une La guerre étrangère est une maladie mortelle (fléau mortel), tandis que le corps politique est malade de la révolution et de la division des volontés » (p. 15). Nel Rapport di Courtois (Rapport fait au nom de la commission chargée de l’examen des papiers trouvés chez Robespierre et ses complices, par E. B. Courtois, Député du Département de l’Aube, dans la séance du 16 nivôse, an IIIe de la République) le Pièces justificatives sono pubblicate alle pp. 101-408. La pièce XLIV ( Note essentielle écrite de la main de Robespierre ) è alle pp. 181-182. Cfr. inoltre M. Robespierre, Réponse de la Convention Nationale au manifeste des rois ligués contre la République, proposée par Robespierre, au nom du Comité de salut public (15 frimaire an II : 5 déc. 1793), in Œuvres, cit., t. X, pp. 228-233, a p. 232: « Sublime parlement de la Grande-Bretagne, citez-nous vos héros. Vous avez un parti de l’opposition. Chez vous (le patriotisme s’oppose; donc) le despotisme triomphe: (la minorité s’oppose); la majorité est donc corrompue ».

(67) Cfr. L. Jaume, Le discours jacobin et la démocratie, Paris, 1989, pp. 332 ss., 358 ss., passim ; P. Higonnet, Goodness beyond Virtue. Jacobins during the French Revolution (1998 ), Harvard, 2000, pp. 144-164, passim. Cfr. anche gli spunti di Anna Maria Battista sulle possibili filiazioni tra la figura del Legislatore in Rousseau e l’ idea robespierriana di una minoranza virtuosa e illuminata, depositaria di verità fisse e necessitanti, cui spetta il compito maieutico di far emergere e realizzare la volontà generale ( A. M. Battista, "Robespierre", in Aa. Vv., Il 'Rousseau' dei giacobini, Urbino, 1988, pp. 29-76, alle pp. 74-75 ). In un passo del Second discours de M. Robespierre, Sur le jugement de Louis Capet (28 déc. 1792), in Œuvres, cit., t. IX, pp. 183-200, a p. 198, viene adombrata l’idea che siano le minoranze virtuose ed illuminate a guidare la storia: «Déjà, pour éterniser la discorde, et pour se rendre maîtres des délibérations, on a imaginé de distinguer l’assemblée en majorité et en minorité; nouveau moyen d’outrager et de réduire au silence ceux qu’on désigne sous cette dernière dénomination. Je ne connois point ici ni minorité, ni majorité. La majorité est celle des bons citoyens: la majorité n’est point permanente, parce qu’elle n’appartient à aucun parti; elle se renouvelle à chaque délibération libre, parce qu’elle appartient à la cause publique et à l’éternelle raison: et quand l’assemblée reconnoît une erreur, comme il arrive quelquefois, la minorité devient alors la majorité. La volonté générale ne se forme point dans les conciliabules ténébreux, ni autour des tables ministérielles. La minorité a par-tout un droit éternel, c’est celui de faire entendre la voix de la vérité ou de ce qu’elle regarde comme telle. La vertu fut toujours en minorité sur la terre». Per i commenti da parte di alcuni protagonisti dell’epoca e di alcuni storici rispetto alla frase "La vertu fut toujours en minorité sur la terre" cfr. C. Gaspard, "Vertu: le sens robespierriste du terme", in Aa Vv., Dictionnaire des usages socio-politiques (1770-1815), fasc. 2 : Notions-concepts, Paris, 1987 pp. 197-210, alle pp. 207-210.

(68) Cfr., tra i tanti esempi possibili, il discorso Sur les rapports des idées religieuses et morales avec les principes républicains, et sur le fêtes nationales (18 floréal an II : 7 mai 1794), in Œuvres, cit., t. X, pp. 442-465, a p.446 : « Le vice et la vertu font les destins de la terre : ce sont les deux génies opposés qui se la disputent ».

(69) Cfr.F. Furet, La gauche et la révolution française au milieu du XIXe siècle. Edgar Quinet et la question du jacobinisme, Paris, 1986.

(70) Per un primo e sommario orientamento cfr. Aa. Vv. The French Revolution and the Creation of Modern Political Culture, 4 voll., Oxford-New York, 1987-1994, vol. IV: The Terror, edited by K. M. Baker, Oxford, 1994, ad indicem e in particolare B. Baczko, The Terror before the Terror ? Conditions of Possibility, Logic of Realization ( pp. 19-38, alle pp. 25-32 ). Nel nostro corpus non abbiamo rilevato occorrenze di système de la terreur. Le occorrenze di système de terreur sono le seguenti: Hébert, 0; Marat, 1; Robespierre, 5; Saint-Just,1.

(71) M. Robespierre, Dédicace à Jean-Jacques Rousseau, in Œuvres, cit., t. I, pp. 211-212. Per la datazione della Dédicace cfr. C. Mazauric, "Bonheurs, lumières obliques sur la figure de Maximilien Robespierre", cit. (Mazauric propende per la fine del 1789).

(72) M. Robespierre, Contre les factions nouvelles et les députés corrompus (8 thermidor an II : 26 juil. 1794), in Œuvres, cit., t. X, pp. 542-586, a p. 544: «Les révolutions qui jusqu'à nous ont changé la face des empires n'ont eu pour objet qu'un changement de dynastie, ou le passage du pouvoir d'un seul à celui de plusieurs».

(73) Cfr. J.-J. Rousseau, Émile ou de l’éducation (1762), in Œuvres complètes, édition publiée sous la direction de B. Gagnebin et M. Raymond, avec la collaboration de F. Bouchardy, J.-D. Candaux, R. Derarthé, J. Fabre, J. Starobinski et S. Stelling-Michaud, 5 voll., Paris, 1959-1995, vol. IV, Paris, 1969, pp. 239-867, alle pp. 468-469 ( livre III ; cfr. trad. it. Firenze 2002, p. 223 ).

(74) Cfr. Rapport fait au nom de la commission chargée de l’examen des papiers trouvés chez Robespierre et ses complices, cit., pp. 180-181, pièce n. XLIII ( Espèce de catéchisme de Robespierre, écrit de sa main ) ; Papiers inédits trouvés chez Robespierre, Saint-Just, Payan, etc., supprimés ou omis par Courtois, cit.,vol. II, pp. 13-15, pièce n. XLIII (Espèce de catéchisme de Robespierre, écrit de sa main). In questo appunto, che secondo Jaurès risale al settembre 1793 e che Soboul colloca invece nel luglio 1793, alla domanda su quando finirà la corruzione, Robespierre si risponde Jamais ( p. 181 ; p.15 ).

(75) Cfr. La felicità è un’idea nuova, tomo primo, cit, capitolo primo, paragrafo 1.7.

(76) Cfr. La felicità è un’ idea nuova, tomo I, cit., p. 48 e nota 190 a p.71.

(77) F. Furet, "Terrore", in F. Furet, M. Ozouf, Dizionario critico della rivoluzione francese ( 1988, 1992 ), 2 voll., Milano, 1994, vol.I, pp.172-185, a p. 184. Sulla “funzione salvifica ” assegnata alla politica nelle culture politiche degli ultimi due secoli cfr. R. Bodei, "Politica e felicità", in R. Bodei, L.F. Pizzolato, La politica e la felicità, Roma, 1997, pp. 5-17.

(78) G. Labica, Robespierre. Une politique de la philosophie, cit., p.7 : « Ce livre est donc d’un philosophe à l’ écoute de l’un des siens ».

(79) H. Guillemin, Robespierre politique et mystique, Paris, 1987 ( trad. it. Milano, 1989 ).

(80) Cfr. G. Ferrari, La ricerca in Linguistica Computazionale tra modelli formali ed analisi empirica (2005, pp. 1-22, bibliografia alle pp. 18-22):lien



(81) Ch. Salvat, "De Division of Labour à Division du travail: Histoire d’une notion, d’un syntagme et de sa diffusion en France", in Aa. Vv., Dictionnaire des usages socio-politiques (1770-1815), fasc. 7: Notions théoriques, Paris, 2003, pp. 39-66.

(82) A. Steuckardt, "La notion de liberté de la presse dans L’Ami du peuple de Marat" in Aa. Vv., Des notions-concepts en révolution, cit., pp. 87-104.

(83) Cfr. I. Chiari, "Informatica e lingue naturali. Teorie e applicazioni computazionali per la ricerca sulle lingue'', Roma, 2004, pp. 36, 39.

(84) A. Geffroy usa – a prescindere dalla grafia – « désignant socio-politique », « terme », « syntagme prépositionnel », « lexème figé », « mot ». Cfr. A. Geffroy, "Sans-culotte(s)", cit.; Idem, "Désignation, dénégation: la légende des sans-culottes (1780-1980)", cit.

(85) Cfr. C. Vetter, "Dalla dittatura degli antichi alla dittatura dei moderni: note e considerazioni su Marat", in Il dispotismo, cit., pp. 180-220, 230-241 e ad nomen. Cfr. inoltre P. Radin, L’idea di felicità nel pensiero politico di Marat, tesi di laurea in Storia del Risorgimento, relatore: Prof. Cesare Vetter, correlatori: Prof. Ermenegilda Manganaro Favaretto e Prof. Simonetta Ortaggi, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 1998-1999. Per la lessia « liberté de la presse » in Marat cfr. A. Steuckardt, "La notion de liberté de la presse dans L’Ami du peuple de Marat", cit., pp. 87-104. Su Marat cfr. inoltre Idem, "Je, nous, l’Ami du peuple: stratégies énonciatives dans le discours de Marat", in Aa. Vv., Langages de la Révolution (1770-1815), cit., pp. 571-578; O. Coquard, "Les mots du despotisme dans l’Offrande à la patrie de Jean-Paul Marat", ibidem, pp. 559-570.

(86) H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit., pp.60 ss.

(87) Cfr. E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Roma- Bari, 2001, pp. 25 ss.

(88) F. Brunel, Introduction à Billaud -Varenne, Principes régénérateurs du sistême social, Paris, 1992, pp.13-61.

(89) Cfr. H.G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tübingen,1960 ( trad. it. Milano, 1972 ).

(90) J. Jaurès, Histoire socialiste de la Révolution française (1900-1903), 6 voll. (1968-1973), Paris, 1983-1986, t. VI, pp. 193-194: «… ici, sous ce soleil de juin 93 qui échauffe votre âpre bataille, je suis avec Robespierre, et c’est à côté de lui que je vais m’asseoir aux Jacobins».

(91) Per la distinzione tra « amour de soi » e « amour-propre » in Rousseau cfr. Aa. Vv., Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau, publié sous la direction de R. Trousson et F. S. Eigeldinger, Paris, 1996, alle pp. 32-33. Per la connotazione negativa di « amour-propre » in Robespierre cfr. La felicità è un’idea nuova in Europa, arte I, capitolo I e parte II, liste di frequenza.

(92) Sul concetto di fellow-feeling cfr. R. Sugden, La " 'corrispondenza di sentimenti' come fonte di felicità", in Aa. Vv., Felicità ed economia, a cura di L. Bruni e P. L. Porta, Milano, 2004, pp. 137-169. Il termine chiave in Rousseau è « pitié »: cfr. Aa. Vv., Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau, cit., pp. 722-725. Robespierre parla di « ce sentiment impérieux qui nous porte vers les hommes faibles, qui m’avait toujours attaché à la cause des malheureux » (Adresse de Maximilien Robespierre aux Français, été 1791), in Robespierre, Écrits, a cura di C. Mazauric, cit., pp. 124-136, a p. 127. Il documento non figura nelle Œuvres: cfr. C. Mazauric, "Présentation", in Œuvres, cit., t. I, pp. I-XXIX, alle pp. XV-XVI. Cfr. il sito dell’ARBR Les Amis de Robespierre pour le Bicentenaire de la Révolution française. Come è noto, Hannah Arendt individua nella « compassione » per i « malheureux » la causa di fondo della deriva terroristica della rivoluzione francese: H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit., pp. 60 ss.

(93) Per la polemica di Rousseau contro i « riches », cfr. Aa. Vv., Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau, cit., pp. 228-229. Per i giudizi di Robespierre cfr. cfr. La felicità è un’ idea nuova in Europa, tomo primo, cit, parte I, capitolo I e parte II, liste di frequenza.

(94) Cfr. N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (1994), Roma, 1995, pp. 106-110, 128-130.

(95) Cfr. E. Nolte, L’eterna sinistra, in Controversie. Nazionalsocialismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento (1993), Milano, 1999, pp. 77-90; Idem, Esistenza storica. Fra inizio e fine della storia ? (1998), Firenze, 2003, pp. 170-181, 357-374, 470-484, 565-581.

(96) A. Mathiez, "Pourquoi nous sommes robespierristes ?" (1920), in Études sur Robespierre (1958), Paris, 1973, pp. 19-38; M. Vovelle, "Pourquoi nous sommes encore robespierristes ?" (1988), in Combats pour la révolution française, Paris, 1993, pp. 349-359.

(97) Per la critica del « monismo etico » cfr. I. Berlin, Due concetti di libertà (1958, 1969), Milano, 2000, pp. 71 ss.; Idem, Controcorrente. Saggi di storia delle idee (1979), a cura di H. Hardy, Milano, 2000, pp. 3-4, 180-181, 242-243, passim; Idem, "La ricerca dell’ideale" (1988), in Il legno storto dell’umanità. Capitoli della storia delle idee (1990), a cura di H. Hardy, Milano, 1994, pp. 17-42.

(98) M. Robespierre, Discours au peuple réuni pour la Fête de l’Être Suprême (20 prairial an II : 8 juin 1794), in Œuvres de Maximilien Robespierre (1910-1967), 10 voll., Paris, 2000, t. X, pp. 479-483, a p. 481.

(99) Il riferimento è alla nota affermazione di Kant del 1784: «… da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo, non si può costruire nulla di perfettamente dritto ». Cfr. I. Berlin, Due concetti di libertà, cit., p. 75; Idem, Il legno storto dell’umanità, cit., p. 15.

(100) G. Lefebvre, La Révolution française (1930, 1951), Paris, 1989, pp. 116 e ss.

Cesare Vetter, "A proposito di felicità, rivoluzione francese, banche dati e linguistica computazionale", Revolution Française.net, Epistémologie, mis en ligne le 07 février 2007, http://revolution-francaise.net/2007/02/07/107-proposito-felicita-rivoluzione-francese-banche-linguistica-computazionale.